domenica 24 maggio 2015

Guerra di trincea





Oggi, 24 maggio 2015, ricorre il 100° anniversario dell'entrata dell'Italia nella Grande Guerra. Mi viene allora in mente un testo fondamentale, letto e studiato in occasione del Corso di Storia Contemporanea all'Università. Si tratta de "La Grande Guerra" di Paul Fussell (Il Mulino, 2000), storico americano che compie una mastodontica operazione di ricostruzione di testimonianze sul primo conflitto mondiale, passato anche alla storia come drammatica ed orrenda 'guerra di trincea'.
Il libro è bello, corposo ma senza annoiare.
Rende uno spaccato reale della vita e dei significati del conflitto iniziato nel 1914.
Tanti i passaggi che meriterebbero di essere citati, di questo bellissimo testo.
Ve ne propongo un paio.

- La Guerra di Trincea -

"Stare in trincea significò sperimentare una clausura ed una costrizione irreali e indimenticabili, e così pure la sensazione di essere disorientati e smarriti.
Due cose soltanto si vedevano: la parete di una terra sconosciuta e indifferenziata e il cielo al di sopra. Quattordici anni dopo la guerra, J. R. Ackerley si trovò a passare per una zona poco frequentata di una città in India. "Mentre procedevo svoltando di continuo, le strade si facevano sempre più strette" scrive "finché pensai di essere di nuovo in trincea, perché da entrambi i lati le case erano proprio dello stesso colore e della stessa materia del terreno irregolare nel mezzo". Quella sensazione di smarrimento colpì anche il maggiore Frank Isherwood, che nel dicembre 1914 scrisse alla moglie: "le trincee sono un labirinto, mi ci sono perso già parecchie volte...non è possibile uscirne e andare a camminare per la campagna o vedere alcunché tranne due muraglie fangose da una parte e dall'altra".
Un superstite della zona del saliente ricorda, cinquanta anni dopo, le pareti di sudiciume e il cielo a far da soffitto e il suo eloquente grido di nostalgia risuona come se egli fosse condannato ad essere imprigionato lì per sempre: "Essere fuori da questa presente, onnipresente, eternamente presente miseria, da questo puzzolente mondo di terra viscida e gocciolante che ha per soffitto una striscia di cielo minaccioso".
Come unico scenario possibile di variazioni, il cielo acquistò un'importanza preminente. Era la vista del cielo da sola, forse, che poteva persuadere gli uomini che non erano già abbandonati in una fossa comune.

"L'abito dell'odio"
Il nemico 
L'atteggiamento contro

Possiamo definire dicotomizzante un permanente abito mentale dell'età moderna che sembrerebbe possibile far risalire alle realtà della Grande Guerra- "noi siamo tutti da questa parte; il nemico sta dall'altra.
Noi siamo individui con nome e identità personali; "esso" è soltanto un'entità collettiva. Noi siamo visibili; esso è invisibile. Noi siamo normali; esso è grottesco. Le cose che ci appartengono sono naturali; le sue strane. Il nemico non è buono come lo siamo noi (...) ci minaccia e deve essere distrutto, o per lo meno messo sotto controllo. (...) Il prolungarsi di una guerra di trincea, con il suo isolamento collettivo, la sua difensiva e la sua nervosa ossessione di ciò che sta tramando l'altra parte fissa un modello di moderna polarizzazione politica, sociale, artistica e psicologica. Il prolungarsi della guerra di trincea, tanto se vissuta, quanto se rammentata, stimola il melodramma paranoico che ritengo sia il genere fondamentale della letteratura moderna. (...) Il confronto fisico tra noi ed essi ovviamente riproduce una rozza dicotomia. Ma - meno prevedibilmente - questo tipo di rozza dicotomia finì per dominare comunque la percezione e l'espressione, incoraggiando infine quello che possiamo chiamare il moderno atteggiamento contro, una cosa opposta ad un'altra, non già con qualche hegeliana speranza di sintesi che comporti la dissoluzione di entrambi gli estremi, ma nel senso che uno dei due poli incarna una deficienza o magagna o perversione tanto malvagia che è necessario assoggettarlo totalmente. Una delle eredità della guerra è appunto questa abitudine alla distinzione semplice, alla semplificazione e alla contrapposizione. Se in guerra la vittima principale è la verità, un'altra vittima è l'ambiguità.


Nessun commento:

Posta un commento