lunedì 8 dicembre 2014

Fidelio: classico contemporaneo


Succede che un'opera scritta per la prima volta nel 1804 possa parlare, con forza e realismo, dell'oggi. È il potere dei grandi classici, quelli che non tramontano, che non passano mai di moda, portatori di un messaggio universale che rimane sempre attuale. Ieri alla prima della Scala di Milano, con il Fidelio di Beethoven diretto da Barenboim con la regia di Deborah Warner, è successo proprio questo.
La trama racconta di Leonora che si traveste da uomo con il nome di Fidelio e trova lavoro nella prigione in cui è rinchiuso il marito Florestan, che sta per essere condannato a morte dalla dispotica decisione del governatore Don Pizarro. Tra dolore e speranza, la coraggiosa Leonora riesce a salvare la vita al marito, un attimo prima che giunga il Ministro a liberare i detenuti.
Nella scelta della regista Warner, per tutto il primo atto la prigione è contemporanea, squallida e grigia, quasi simbolica (assenti gli elementi descrittivi tipici, le sbarre o le celle). Nel secondo atto, con una scenografia a dir poco imponente, la scena si sposta nelle segrete, rappresentate come inferi freddi e umidi. E in questi due scenari, i significati si rincorrono.
Nell'opera e nella sua messa in scena c'è anzitutto - come è ovvio anche dalla stessa scrittura di Beethoven - l'antinomia libertà - oppressione, trasposta nella classica contrapposizione luce-tenebre. Superba la sottolineatura dell'orchestra al coro - realistico e disperato - dei detenuti.
Si percepisce l'oppressione del sistema carcerario, oggi come ieri. Una vita nelle tenebre, solo brevemente interrotta dalla possibilità di godere, un attimo, della calda luce del sole primaverile, sinonimo di libertà. Una liberalità del carceriere, questa, subito punita dal governatore, il superiore.
E proprio nella figura del carceriere, Rocco, c'è il rapporto tra libertà e dipendenza: per indole buono, si rifiuta di uccidere Florestan come ordinatogli dal Governatore Don Pizarro, ma deve nondimeno scavare la fossa che ospiterà il corpo del prigioniero. Così come deve sottostare, per guadagnarsi i soldi per vivere, agli atteggiamenti autoritari di Don Pizarro.
C'è l'amore e il rapporto marito e moglie, salvifico prima ancora dell'intervento del Ministro. Ma la relazione tra i due è resa in chiave moderna. Dopo due anni Leonora e Florestan si riconoscono nelle segrete del carcere: se la messa in scena originaria li vedeva uniti in un abbraccio molto classico, Werner opta per una scena moderna, dove all'abbraccio si sostituisce una non meno intensa distanza, quasi a rappresentare una chiave più moderna dell'amore coniugale.

Non saremo tutti critici musicali, è vero. Ma ci sarà pure una ragione se un'opera ti tiene incollato, ti cattura e ti sembra tanto coraggiosa. La lotta contro la tirannia, l'affermazione della libertà e della giustizia erano temi cari a Beethoven. E sono cari anche a noi. E forte è l'emozione regalata da un classico che può parlare in modo così potente della contemporaneità.



Ho visto l'opera al Cinema Clarici di Foligno: audio e video di ottima qualità, per un'esperienza più che realistica.

Nessun commento:

Posta un commento