martedì 18 novembre 2014

Cara Taverna, siamo tutti politici




"Io non sono un politico ... Non si permetta di chiamarmi politico".
A tanto siamo arrivati, in Italia.
La parola politico è, oramai, un insulto. Un insulto perfidamente calcolato da parte di chi lo rivolge e che provoca la reazione rabbiosa di chi lo riceve.
La frase, nel caso di specie, è di Paola Taverna, senatrice M5S contestata a Tor Sapienza. Ma non è colpa sua. Le parole sue e quelle del suo interlocutore sono solo l'espressione violenta di un sentire diffuso. E pericolosissimo.
Anni ed anni di cattiva politica ci hanno disilluso, ci hanno disgustato. Ci hanno allontanato da quello che invece ci riguarda da vicino, perchè rappresenta il contesto delle nostre vite.
Eppure l’etimo stesso della parola, la sua stessa struttura, racchiudono il significato profondo della politica: la sfera pubblica. Il termine greco "politicos" viene da "Polis", città. Nella civiltà greca, fondante di tanti aspetti del pensiero occidentale, il termine era usato per definire ciò che apparteneva alla dimensione della vita comune, allo Stato e al cittadino (πολίτης). La città è il luogo dei «molti» (polloi), è anche il luogo che fa di tali individi un insieme, una «comunità» (κοινωνία).
Ecco perché in quanto cittadini siamo tutti politici, non possiamo non esserlo.
Per i cittadini di Tor Sapienza e per i rifugiati che li trovano posto, la rabbia prevale sulla ragione: lo Stato non c'è, la politica, la gestione della cosa pubblica pare averli abbandonati.
Ma chi rappresenta le istituzioni - in questo caso Paola Taverna - ha la responsabilità di onorare il servizio politico, non viverlo come un insulto.
E noi tutti dovremmo resistere alla tentazione di denigrare un concetto - la politica - perché degradati erano quelli che spesso, questo concetto, lo hanno rappresentato.

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