giovedì 16 maggio 2013

Questione di metodo

Stefano Rodotà

Oltre ad una questione di merito, ce ne è anche una di forma. E la forma, in questi casi - si sa - è anche sostanza. Quando si parla di modificare la Costituzione, quel che rileva è non solo il "cosa" ma il "come". E lo spiega bene Stefano Rodotà, nell'intervista pubblicata oggi da Repubblica. «L'idea di una commissione estranea al Parlamento non mi è congeniale: la via corretta delle riforme costituzionali è quella parlamentare»

Materia del contendere è la proposta del governo di istituire un comitato di saggi che affianchi la Commissione affari Costituzionali e agevoli il percorso della revisione di parti della Carta fondamentale. «Si dovrebbe cominciare in Parlamento e nella sede specifica delle commissioni affari costituzionali, ripartendo il lavoro tra le due commissioni di Camera e Senato. Non costituendo una terza camera». 

Il punto, quindi, non è l'immodificabilità della Costituzione: Rodotà apre, eccome, a quegli interventi che lui definisce di "manutenzione" sulla seconda parte della Carta. «Modifiche come quelle riguardanti il bicameralismo e la riduzione del numero dei parlamentari vanno nella direzione giusta». La questione è, piuttosto, quella di fare in modo che i lavori seguano percorsi di condivisione e di garanzia. E, in una parola, di democrazia. 

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Leggi anche la mia ultima intervista a Stefano Rodotà: Diritto d'Europa

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