giovedì 21 febbraio 2013

Viva la libertà. E la politica.

Toni Servillo, nel doppio ruolo di Enrico Olivieri e di Giovanni Ernani in Viva la libertà di Roberto Andò
«Ciao Andrea. Stammi bene». È così che Enrico Olivieri – Segretario del principale partito della sinistra italiana  – si accomiata dal suo assistente Andrea Bottini, una sera come tante, dopo l’ennesima sconfitta. E decide di fuggire, l’indomani stesso, a Parigi. Via. Via dagli insuccessi, dai sondaggi in ribasso, dalle contestazioni all’assemblea nazionale. Dalle agenzie e dai titoli dei giornali che lo fanno a pezzi. Dai colleghi che lo guardano con commiserazione, pronti a fargli lo sgambetto. Via, verso la Francia, patria della libertè e di un vecchio amore, che poi tanto vecchio non è. Danielle, segretaria di edizione nel cinema, fiamma mai spenta di venticinque anni prima che lo accoglie in casa (con marito e figlia). E mentre lui comincia a (ri)trovare se stesso, a Roma è il caos: l’opposizione non può permettersi di stare senza leadership, in un momento che è – come sempre – di emergenza, condizione oramai cronicizzata della nostra democrazia. Messi alle strette, Bottini ed Anna, la moglie di Oliveri, trovano una soluzione che oltre a liberarli dall’imbarazzo di dover giustificare l’assenza del leader (dove è finito? Si chiedono tutti), risolleverà le sorti del partito e di tutta la sinistra. Far vestire a Giovanni Ernani – il fratello colto e un po’ folle di Olivieri, in cura per una depressione bipolare – i panni del Segretario. La somiglianza fisica c’è. Quello che cambiano, e non poco, sono dialettica e comportamenti. Alta, affilata e tagliente, la prima, improbabili e sopra le righe, i secondi. La politica riprende vita, i discorsi riacquistano colore, le piazze tornano a riempirsi. Al grigiore della vecchia politica, burocratica e stanca, appiattita e avvitata su se stessa, si sostituisce la potente sferzata ideale di quest’uomo, colto e disinibito, profondo e ironico. Che sa ridare gusto alla politica e al suo verbo. Che cita Brecht senza banalità e retorica. Ma quello che più colpisce è la doppia dimensione della pellicola di Roberto Andò. Da una parte, una riflessione sulla politica e, soprattutto, sulla sinistra, colpevole di aver perso per strada quella che era la sua vocazione originaria: parlare ai cittadini, connettersi ad essi con empatia e tensione ideale. Dall’altra, c’è l’universo individuale in cui ognuno di noi è calato. Con i suoi limiti e le sue opportunità, con le sue ansie e le sue gioie. Con le sue insicurezze e con i suoi assi nella manica. I due fratelli – apparentemente così diversi – non lo sono poi così tanto. L’inversione dei ruoli finisce con l’essere più che altro un riavvicinamento, e il rinnovato Olivieri che torna alla sua scrivania spiazza, perché non si sa più, esattamente, chi si ha di fronte. Collettivo ed individuale, insomma, s’intrecciano come non mai, non si sa bene dove inizi l’uno e dove finisca l’altro, così come s’intrecciano “normalità” e follia, due facce della stessa medaglia. Perché, in fondo, in tutti noi c’è un po’ di Olivieri e un po’di Ernani. Solo che, spesso, non lo sappiamo. O facciamo finta di non saperlo. 

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