venerdì 30 settembre 2011

Ripartire dal sogno federalista

Tra crisi economica, euro ed età pensionabile, tutti, in questi giorni, parlano d'Europa. Pochi, però, possono farlo con l'autorevolezza e la lucidità di Emma Bonino. Volto noto della politica italiana, ricopre attualmente la carica di Vicepresidente del Senato. Nella scorsa legislatura è stata Ministro per il commercio internazionale e per le politiche europee. Importantissima e ricca di riconoscimenti la sua carriera internazionale: nel 1995 è nominata dal governo italiano Commissario europeo per gli aiuti umanitari (ed anche per la politica dei consumatori e la pesca), mentre fino al 2006 è stata deputata al Parlamento europeo. Con lei, che l'Europa l'ha vissuta in prima persona, continua il nostro viaggio insieme ad esperti ed autorevoli commentatori, per comprendere meglio l'attualità - e le potenzialità inespresse - del processo di integrazione.
Il terremoto economico finanziario attualmente in atto, secondo alcuni, potrà persino tradursi in un salto di qualità. Anche lei la pensa così?
La crisi ha avuto se non altro il merito di mettere in primo piano l'euro, un progetto rimasto per molti versi incompiuto; dall'altra, l'opportunità che ci offre è quella di compiere finalmente un cambio di passo in Europa per quanto riguarda il governo dell'economia e non solo e, qui da noi, di sgombrare il campo da una serie di alibi che hanno impedito le riforme strutturali essenziali per la modernizzazione del Paese.
Ma esistono, secondo lei, dei leader in grado di cogliere queste "opportunità nascoste"?
Per coglierle ci vorrebbero leader lungimiranti con in mente un grande disegno federalista. Purtroppo non ne vedo all'orizzonte.
Quanto rimane, oggi, del sogno federalista?
L'Europa oggi è davanti ad una rivoluzione possibile a patto però di essere capace di affrontare le nuove sfide e di credere nelle radici del progetto fondatore, puntando ad una "Patria europea" e non ad una "Europa delle Patrie" antistorica e litigiosa su tutto, e incapace di vedere che oltre il proprio naso c'è un mondo che corre e che dell'Europa, in definitiva, può fare anche a meno. L'idea degli "Stati Uniti d'Europa" rimane la migliore carta da giocare a lungo termine per evitare all'Europa di rimanere periferica rispetto alle cose del mondo.
Non crede però che, in concreto, fu solo grazie al modello funzionalista (improntato ad un avanzamento graduale e settoriale dell’integrazione) che si poté costruire l’Europa?
Ma il modello funzionalista non avrebbe mai preso forma se non fosse stato incardinato all'interno di una visione! Lo stesso Jean Monnet parlava di "Stati Uniti d'Europa". Io ho sempre preferito il metodo comunitario a quello intergovernativo ma non nego che, in momenti di stallo, per rimettere in moto la macchina ci possa essere bisogno di un nucleo duro di paesi che agiscano da catalizzatori pronti, per il bene comune, a condividere i rischi e l'onere politico di cessioni di sovranità ulteriori. Il mio europeismo mi spinge a dire che è meglio un'Europa a due velocità che un'Europa a velocità zero o in folle...  
Rischiando di semplificare, oggi l’alternativa si gioca tra l’ “Europa dei popoli” e l’ “Europa degli Stati”. Come evitare che la prima venga sopraffatta dalla seconda?
Credo che occorra dare un segnale che dia un forte senso di appartenenza. Come per esempio l'elezione diretta del presidente del Consiglio europeo o della Commissione. E poi puntare, non ad un super-stato europeo ventilato dagli euro-scettici per bloccare il processo d'integrazione, ma ad una federazione "light", vale a dire un'entità composta da stati nazione che detenga però alcuni pilastri di un organismo sovrano: un presidente ed un parlamento eletto, una Corte di Giustizia, una moneta unica con relativi meccanismi di governance, una banca centrale, un ministro del Tesoro, una forza armata unica, un servizio diplomatico comune...Alcune cose le abbiamo, altre solo parzialmente, altre ancora sono sulla carta solamente.
Tra le fondamenta della costruzione europea vi è, senza dubbio, il rifiuto dei nazionalismi. Come spiegare, allora, il fatto che oggi più di 100 membri del PE siano espressione di forze nazionaliste, euroscettiche e, non di rado, xenofobe e razziste?
Essere cittadino europeo significa godere pienamente di diritti individuali ma implica anzitutto stato di diritto, tolleranza, rispetto reciproco, accettazione delle diversità, nonché conformarsi alle regole della democrazia e contribuire allo sviluppo di una società equa e coesa. Di fronte ai grandi flussi migratori della nostra epoca, questo "modello europeo" si è trovato sotto attacco per via della risorgenza dell'intolleranza e della discriminazione, che ha pure trovato rappresentanza politica. Questo è un tema che non sottovaluto al punto di aver accettato un invito del Consiglio d'Europa, che ricordo è custode della Convenzione Europea sui Diritti Umani, di far parte di un gruppo di personalità con il compito di elaborare un rapporto entro l'anno prossimo che identifichi l'origine di questo fenomeno, ne valuti la portata e proponga soluzioni.  
Oggi i negoziati sull'ingresso della Turchia nell'Ue sono in stallo, molti leader europei frenano (da Sarkozy alla Merkel), le relazioni tra questo Paese e l'Occidente sono in forte crisi (basti pensare all'intervento israeliano contro la nave turca diretta a Gaza). Da radicale, da tempo favorevole all’adesione della Turchia, cosa ne pensa?
Penso che non siamo in presenza di una politica neo-ottomana, come alcuni sostengono, e che la questione non si ponga in termini binari Est-Ovest ma che la Turchia fa quello che farebbe qualsiasi potenza regionale che deve affrontare problemi con i suoi vicini. Quando la Turchia si volge ad oriente in realtà manda un forte messaggio ad occidente: attira la nostra attenzione sul fatto che la loro zona d'influenza è fuori dalla nostra portata e questo dovrebbe rafforzare la loro domanda di adesione, non il contrario. E io sono d'accordo con questa visione anche perché sono convinta che per i dirigenti turchi l'entrata in Europa rimane un interesse nazionale, oltre che una priorità strategica. E, a maggior ragione, questo vale per l'Europa.   
Lei ha più volte fatto riferimento alla cosiddetta “introversione istituzionale” dell’Unione. A cosa si riferisce esattamente? C'è qualche rimedio?
Per introversione istituzionale non mi riferisco solo alle lunghissime "pause di riflessione" dopo le bocciature del Trattato e i sette anni complessivi che ci sono voluti per la ratifica. Mi riferisco anche al riflesso nazionalistico che scatta ogni volta che si affaccia una crisi, magari per proteggere qualche campione nazionale o per paura di ledere situazioni di rendita strategica di questa o quella capitale.  L'Unione, invece, deve tentare di evolvere, adattando i suoi meccanismi istituzionali a misura delle sfide che questo presenta.
Sul severo ultimatum della Commissione europea all’Italia, a proposito dell’equiparazione dell’età pensionabile tra uomini e donne nel pubblico impiego, lei ha assunto posizioni....controcorrente rispetto agli schieramenti politici nazionali. Perché?
L'innalzamento dell'età pensionabile, con relativa equiparazione, è una necessità e non solo perché ce lo chiede l'Europa. Nessuno stato sociale è più in grado di garantire pensioni ultra ventennali. L'aumento della durata di vita ed il declino demografico fa sì che saremo sempre meno e sempre più vecchi. Secondo il recente rapporto Gonzales, nel 2050 ci troveremo, in tutta Europa, con quattro adulti in età lavorativa a mantenere tre pensionati. Ma si tratta anche di evitare alle donne risarcimenti pelosi che le inchiodano al ruolo di funambole per ovviare a servizi inesistenti di assistenza e cura in famiglia. Ora il ministro Tremonti non faccia il furbo: il gettito che se ne ricaverà non deve servire a fare cassa  ma deve essere utilizzato, fino all'ultimo centesimo, per le politiche di sostegno alle donne, per gli asili nido, per il doposcuola, per l'assistenza domiciliare agli anziani.

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